Aeroporto di Thiene
C'era una volta un campo di volo... Sembra l'inizio di una favola ed in realtà è l'inizio di una storia aeronautica di eccellenza, scritta da una generazione di giovani valorosi e motivati cento anni fa, nel corso di una delle più sanguinose guerre combattute dall'umanità, che però, seppur nella sua drammaticità e tragicità, ha fatto la storia del nostro Paese.
Ci venga concesso chiamarlo campo di volo anziché aeroporto, perché ci sembra un termine un po' romantico, considerando che all'epoca erano passati solo poco più di dieci anni dal primo volo dei fratelli Wright.
L'aeroporto di Thiene ( LIDH ) è di eccezionale interesse storico, a memoria dei mezzi impiegati e dell'importante attività aerea effettuata dai velivoli del nostro Esercito e dei nostri Alleati nel corso della Prima Guerra Mondiale, operando giornalmente dal campo di Villaverla, a supporto delle truppe impegnate in eroici combattimenti sul Pasubio, sull'Altopiano di Asiago e sul Monte Grappa. Una storia militare di prim'ordine quella del Campo di Volo, ma a torto, poco conosciuta e considerata anche da storici e studiosi della Grande Guerra.
Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, il Comando Supremo del Reale Esercito Italiano iniziò la costruzione di un campo di volo ad Asiago, in posizione strategica a ridosso del fronte alpino, per disporre di un punto d'involo avanzato dove far operare i primi velivoli utilizzati per la ricognizione e l'osservazione delle linee nemiche. Di conseguenza, nell'estate del 1915, presso il campo di Asiago, arrivarono i primi biplani, che iniziarono subito ad operare sul fronte dell'altopiano, seppur incontrando notevoli difficoltà legate soprattutto all'alta quota delle operazioni.
Essendo ai primordi dell'aviazione militare, le macchine in servizio erano ancora poco più che rudimentali intrecci di legno e tela, con motori di potenza limitata. Consapevoli delle difficoltà tecniche e considerando che le operazioni di volo da Asiago potevano essere impedite dal maltempo, soprattutto nella stagione invernale, già da fine estate del 1915 l'Esercito decise di allestire un campo di appoggio ai piedi dell'Altopiano, identificando un vasto appezzamento appena fuori il paese di Villaverla.
Quest'area si presentava come una lunga e piana radura, con fondo compatto per consentire le operazioni di volo, e in posizione ideale. Infatti era relativamente vicina alla città di Thiene, che era facilmente raggiungibile dai mezzi militari grazie alla strada statale. La vicinanza di centri abitati era di fondamentale importanza dal momento che l'alloggiamento del personale era previsto presso gli insediamenti civili dei paesi e i cascinali del circondario.
Val la pena anche ricordare che, nella maggior parte della documentazione, il campo di volo viene sempre identificato come Aeroporto di Villaverla, nonostante nella realtà il sedime del campo fosse ubicato soprattutto all'interno del territorio di Thiene. Nei primi mesi del 1917, il campo di volo aveva una pista lunga quasi 800 metri, la caratteristica torre di osservazione in legno, tre grandi aviorimesse miste in legno e muratura e almeno due hangar. Sempre nel 1917, a Sarcedo, venne anche allestito un campo secondario, che verrà poi molto utilizzato dagli inglesi nell'anno successivo.
Estratto dall'articolo del giornalista Alessandro Scandale.
L'aeroporto oggi
E' un aeroporto «all'avanguardia da un punto di vista sia funzionale sia estetico». A dirlo sono stati i numerosi visitatori degli ultimi anni.
Centro indiscusso per quanto riguarda le attività e gli sport concerni il volo: dal paracadutismo al volo con gli elicotteri, passando per una entusiasmante esperienza del volo acrobatico.
Nonchè, sede per la protezione civile, l'aeroporto di Thiene, infatti, può ospitare i mezzi aerei antincendio della Protezione Civile. Un ruolo nevralgico, non solamente per Vicenza, ma per tutto il bacino del Veneto in caso di necessità.
E' situato ad Nord di Vicenza a 10km dal centro ed è collegato con il centro da autobus e taxi.
Attualmente gestito dalla società Aeroporto di Thiene srl che negli anni ha saputo valorizzare e incrementare sia le strutture che le attività, trasformando un piccolo aeroporto turistico in un centro strutturato e organizzato nel quale coltivare le proprie passioni in tutta tranquillità e sicurezza.
Nel sedime aeroportuale si trova anche il Distaccamento operativo dei "Vigili del Fuoco volontari", denominato "Centro Polifunzionale", sede congiunta della Protezione Civile e Radioamatori.
Con questa nuova logistica sarà possibile garantire un maggior servizio alla Cittadinanza.
Perchè l'aeroporto si chiama "Arturo Ferrarin" ?
Figlio di Antonio Ferrarin e Maria Ciscato, famiglia di industriali tessili, sesto di sette fratelli, iniziò studi presso il Liceo classico Foscarini di Venezia e poi completò gli studi presso l'Istituto tecnico Fusinieri di Vicenza. Dopo aver preso parte alla prima guerra mondiale prima come mitragliere nel corpo degli aviatori, dall'agosto 1916 diventa pilota e come Sottotenente da caccia nel gennaio 1918 nella Sezione staccata per la difesa di Bergamo della 122ª Squadriglia, poi nella 108ª Squadriglia Nieuport di Trenno e poi nella 82ª Squadriglia, nel 1920 acquistò fama mondiale con il raid Roma-Tokyo compiuto con il tenente Guido Masiero a bordo di velivoli S.V.A.9 della Regia Aeronautica, in legno e tela privi di cabina chiusa: 18 000 km a tappe, in 109 ore di volo.Con loro, i motoristi Cappannini e Maretto. Durante la spedizione, Ferrarin fa tappa in Cina dall'India. Facendo scalo a Canton (21 aprile) con la città allagata per la pioggia, a Fuzhou (28 aprile) dove fu ospite della famiglia Theodoli, il 2 maggio arriva a Shanghai, atterrando all'ippodromo. Restò nella città per una settimana densa di festeggiamenti e ripartì quindi per Pechino dove ricevette l'onorificenza dell'ordine della Tigre.
Il 1928 fu il suo anno trionfale: con il capitano Carlo Del Prete, a bordo
di un velivolo terrestre monomotore Savoia-Marchetti S.64, conquistò il primato
mondiale di durata di volo in circuito chiuso (7 666 km in 58 h 37 min) ed il
primato di distanza senza scalo da Montecelio (Roma) a Touros (Brasile),
percorrendo in 49 h 19 m 7 188 km. Per questa impresa fu decorato di medaglia
d'oro al valore aeronautico e ricevette numerose onorificenze straniere.
Il suo ricordo in aeroporto
Gabriele D'Annunzio lanciò l'idea del raid Roma-Tokyo nel marzo 1919: essa nacque dall'incontro, durante la Grande Guerra, tra il Vate ed il poeta giapponese Harukichi Shimoi, arruolatosi negli Arditi dell'esercito italiano. Il primo, già protagonista del volo su Vienna era inizialmente intenzionato a realizzare l'impresa in prima persona e per tale motivo venne aiutato e sostenuto dal governo italiano, che vedeva in questo volo la possibilità di distrarre D'Annunzio dall'avventura di Fiume.
Nonostante poi D'Annunzio, che proseguì nell'impresa fiumana, avesse rinunciato a partecipare direttamente all'impresa, l'organizzazione del raid venne comunque portata a termine e coinvolse, tra gli altri, i piloti Arturo Ferrarin e Guido Masiero, che furono i soli, tra undici velivoli, a giungere a Tokyo. È da ricordare che il solo Ferrarin, con il motorista Gino Cappannini,raggiunse la capitale nipponica con il solo ausilio del mezzo aereo, mentre il Masiero affrontò la tratta tra Delhi e Calcutta in treno ed il tragitto tra Canton e Shanghai in nave. Un velivolò precipitò e morirono i due componenti l'equipaggio. Il raid fu compiuto in 112 ore effettive di volo.
Il viaggio
La partenza di Ferrarin avvenne il 14 febbraio 1920 alle ore 11 dall'aeroporto Centocelle di Roma. Prima tappa fu a Gioia del Colle, Puglia, a causa di alcuni problemi tecnici sia al suo apparecchio che a quello di Masiero. La successiva tappa su Valona, in Albania, ove all'epoca vi erano ancora truppe italiane che occupavano la città dal 1914. Dopo Valona fu la volta di Salonicco e da lì si spostarono a Smirne, all'epoca occupata dai greci.
Da Smirne si diressero ad Adalia ma furono costretti per un guasto ad una tappa intermedia ad Aydın. Raggiunta finalmente Adalia, occupata dagli italiani, la meta successiva fu Aleppo e da lì Baghdad. Nella capitale irachena Ferrarin fu costretto ad atterrare su un campo in cui si stava disputando in incontro di calcio. Il 23 febbraio ripartirono per Bassora, città nella quale Ferrarin attese l'attardato Masiero per tre giorni prima di riprendere il volo per Bandar Abbas, interrotto però dalle pessime condizioni meteo che lo costrinsero ad atterrare a Bushehr. Raggiunta finalmente Bandar Abbas, dopo un primo tentativo fallito a causa di un problema al radiatore, Ferrarin riuscì a raggiungere Chabahar. Da lì avrebbe voluto raggiungere direttamente Karachi ma, a causa di un problema al motore, fu costretto ad atterrare nei pressi di un villaggio indigeno che risultò essere però abitato da ribelli che si opponevano al dominio britannico nell'area. Per fortuna di Ferrarin, il tricolore italiano venne confuso dai ribelli per quello della Bulgaria, alleata dei tedeschi durante la prima guerra mondiale e perciò, indirettamente, nazione loro amica. Approfittando dell'errore, Ferrarin riesce ad allontanarsi incolume dal villaggio e a riprendere il suo viaggio verso Karachi. A Karachi Ferrarin si riunì a Masiero che era riuscito a portarsi da Bandar Abbas direttamente nella capitale del Sindh.
In memoria del raid è stato costruito presso l'aeroporto di Thiene un hangar museo chiamato RTHM, realizzato per diffondere la cultura del volo. La conoscenza delle tecniche di costruzione aeronautica e il confronto tra appassionati costruttori di aeroplani trova collocazione fisica nel Museo dedicato ad Arturo Ferrarin e alla sua Impresa del 1920 per raggiungere il Giappone.